I LOVE SPLINDER – PARTE 1

I LOVE SPLINDER – PARTE 1

(on the air: Fontaines D.C. – Roman Holiday)

7 minuti

– Sofi, ma proprio a noi doveva capitare il progetto sfigato?
– Leonà, non mi devi chiamare Sofi, capito? Qua stiamo a Roma, chiamami Sofì, Sofia, al limite Sò, ma non Sofi. GRAZIE.
– Figa, come sei suscettibile!
– Senti, muoviti e chiudiamo ‘sta cosa, sennò altro che stagisti, qua ce buttano in mezzo a una strada. Te a Milano e io a Largo Preneste. Hai distribuito i fogli?
– Oh ma per chi mi hai preso? Me ne sono anche avanzati una ventina!

Il pullman nero

Via Veneto, Roma, ore 23:15.
L’aria si è un po’ alleggerita rispetto a qualche giorno fa, quando il soffio opprimente dell’estate sembrava non finire mai. Piove a tratti, c’è un po’ di vento che smuove le foglie ancora verdi e robuste sugli alberi: l’autunno lo stanno cercando a Chi l’ha visto? o nell’ennesima immagine pacchiana creata con l’AI.
Mi hanno dato appuntamento a bordo di questo pullman nero parcheggiato male a lato della strada della Dolce Vita.
Stasera il mio blog, il blog di Ataru Moroboshi, compie 20 anni: sarà una festa a sorpresa? Un rapimento alieno? Più verosimilmente è una coincidenza e questa cosa non c’entra assolutamente nulla. Mi sto comunque chiedendo cosa sia venuto a fare qui: una mail da parte di una ragazza per conto di un sito di informazione non ben identificato, che vorrebbe parlare del mio secondo romanzo. Che ormai è uscito da un annetto.
Oggi, però, dopo averlo riposto in cantina per diverso tempo, mi viene più da pensare al blog. Vent’anni, cazzo: se da una parte ne sembrano passati milioni, dall’altra continuo a ripetermi che non è possibile: “già venti??”.

Dinosauri dell’internet

Cinque minuti all’appuntamento. Un fumatore sa che quei cinque minuti sono utilizzabili al meglio (o al peggio, secondo l’illustre parere del professor corpo umano): fuoco al tabacco e ai ricordi da nonno. I blog (o diari personali) spuntano in rete come funghi dopo un bell’acquazzone, nel quinquennio 2001-2006. Un po’ come nel Triassico sul supercontinente Gondwana comparvero i dinosauri, destinati poi a dominare le terre emerse per 165 milioni di anni.
I blogger erano i dinosauri dell’internet. Carnivori, erbivori, ma tendenzialmente senza spaccare il cazzo alla società per questo.
Avevano una loro visione del mondo circostante e, tra le pieghe colorite dei racconti delle loro giornate, ogni tanto la sputavano fuori, rigorosamente ben scritta. La loro arma era la scrittura: tagliente, ironica, quasi mai sgrammaticata.
Si nutrivano di sarcasmo, voglia di emergere, successo effimero, fosse stato anche solo quello di finire nel blogroll di Personalità Confusa.
Litigavano sì, c’erano i flame. Qualche volta, in quel grosso condominio chiamato Splinder, ma anche in quelli attigui di Blogspot, Iobloggo, WordPress, affiorava anche il lato peggiore; e ci si mandava affanculo, rigorosamente con stile. Poi si guardava oltre, fino al flame successivo. Ancora non lo sapevamo, ma quella sarebbe poi divenuta la palestra perfetta per trollare il becero popolo dei social.
Dai, non eravamo solo stronze e stronzi! Su quei pianerottoli nascevano sì invidie, ma anche affinità letterarie e amorose, amicizie e storie di una sera: virtuali, reali, cosa importa? È il progresso, baby! Quelli fuori non capivano, non sapevano e andava bene così.
Oh, ma ti ricordi le blogstar? Gente famosa solo in quella bolla o poco più, che pretendeva venerazione e spesso non ti concedeva manco la risposta a un commento. Qualcuno, negli anni successivi, avrebbe più o meno meritatamente sfondato quel muro di pixel finendo in tv o sulle pagine di libri e giornali.
Nel 2007-2008, le prime nefaste avvisaglie del meteorite che avrebbe colpito la rete si manifestano con gli avventi di Twitter (oggi X) e Facebook e con la conseguente prima estinzione di massa dei blogger.
Nel 2011 – il Cretaceo-Fanerozoico dei blog – quelle poche creature rimaste in vita vengono definitivamente spazzate via dalla maledettissima combo asteroide/social + glaciazione/analfabetizzazione (passatemi il neologismo). Splinder muore, ci rifugiamo quasi tutti su Facebook, per giunta mettendoci nomi e cognomi veri. È la pietra tombale della blogosfera e dell’anonimato: sopravvivono soltanto i blog tematici, che poi daranno origine a mostri come il Movimento 5 Stelle o Chiara Ferragni. Un finale inglorioso che coincide con l’inizio dell’era contemporanea del web dinamico che per comodità chiameremo con l’acronimo Q.M. che sta per Questa Merda.

Q.M.

Oh sì, dovrei ancora raccontare dei danni devastanti creati dall’avvento degli smartphone e della fin troppo democratica connessione veloce per tutti, degli sciaguratissimi speech in agenzia (compresi i miei) che esaltavano l’avvento del web 2.0 costellato da miliardi di utenti che finalmente interagivano liberi come banchi di piccoli pesci nell’oceano, del fatto che oggi i giovani non sappiano più che cos’è una email o che i miei coetanei che scrivono – spesso molto male – sui social, sono per un buon 80% il più grande cancro al cervello della società mondiale. Dovrei dire che i flame si sono evoluti (o meglio, involuti) mutando in polarizzazione estrema: o sei da una parte o sei dall’altra. Se non sei dalla mia ti insulto, ti blocco, ti auguro la morte, “non provare a imbavagliarmi perché la mia è libertà di espressione” anche laddove la tua è in realtà libertà di scrivere cazzate, abboccare a qualsiasi fake news e schierarti a cazzo su qualsiasi argomento senza saperne niente, abusando indiscriminatamente di quell’Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani che Gramsci aveva pronunciato quando andavano di moda i vestiti di grisaglia. A proposito di intellettuali, aveva ragione Umberto Eco nel 2015. Io gli avevo dato del boomer retrogrado e snob e invece aveva ragione da vendere a pacchi, parola per parola: I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli. Ora, nel 2023, il termine imbecilli mi sembra persino troppo bonario.
Al posto delle blogstar sono arrivati gli influencer e, se già le prime mi stavano sui coglioni, figurati questi qua che diventano famosi dopo un reel in cui rompono un cocomero a testate cantando l’ultimo successo di qualche trapper disagiato e cresciuto male nei sobborghi di Roma, Napoli o Milano. Del web 2.0, i blogger sono padri e madri. E ora, tutto sommato, vedrebbero volentieri crepare quel figlio hooligan che vomita post, commenti e sentenze senza sapere cosa siano la netiquette, l’equilibrio mentale e la lingua italiana. Del resto, una grossa fetta di utenti social dai 30 ai 70 anni non ha frequentato la scuola esclusiva che frequentavano i blogger e gli utenti dei primi forum, né ovviamente è nativa digitale: è gente allo sbando con una superflua e spesso costosa protesi connessa alla mano, utilizzata al 10% delle possibilità.
A completare lo scenario disastrato di Q.M., i siti di informazione sembrano siti porno di 20 anni fa, sia per i contenuti, sia per la quantità di popup pubblicitari che si aprono appena cerchi di leggere un qualsiasi articolo in cui viene sistematicamente fatto scempio della sintassi e del dovere di cronaca. E io davvero mi sono rotto il ca…

– Sor Atà, ce n’hai ancora pe’ parecchio co’ sta pippa der NOI CHE? Monta sur purma!
– ENZO ER FRITTATA? IL TASSINARO IMMAGINARIO? Ma avrà…
– … 92 anni e sto ancora qua, embè?
– Ma mo’ guidi il pullman?
– Lascia sta’, ormai ai tassinari li odiano e te dirò, c’hanno pure ragione: se non stessi in pensione lavorerei pe’ Hubner. Diciamo che oggi sto qua per un motivo… sììì, ho capito signorina Sofia, sto zitto!
– Ehm, Uber. Sofia? Chi???
– Ma niente… daje co’ ste luci OOHHH!

Salgo e improvvisamente i riflettori puntano su ogni singolo sedile del pullman nero: è pieno di gente! E sono tutte facce a me note, anche notissime. Una ragazza e un ragazzo sui 23-24 anni mi bloccano mentre esclamo un “noooo!” di meraviglia e mi dirigo verso i passeggeri del bus.
I due si presentano: si chiamano Sofia e Leonardo.

FINE PRIMA PARTE: la seconda qui.

5 pensieri su “I LOVE SPLINDER – PARTE 1

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